Oggi, 20 anni fa, usciva The Dig, la penultima grande avventura della Lucas (l’ultima, ovviamente, è Grim Fandango). Nel 1995 lo scenario videoludico mondiale era cambiato parecchio da quando Lucas aveva cominciato a sfornare le sue celebri avventure grafiche: si era nel pieno di un brusco e repentino processo di rinnovamento che avrebbe portato alla sostituzione della grafica 2D con quella poligonale, Playstation aveva sorpassato Nintendo in qualità di “sinonimo di videogioco” e i Pc erano diventati mostri dalla potenza computazionale impensabile fino ad un lustro prima, grazie al massiccio sviluppo di nuovi processori, schede grafiche e sonore, senza dimenticare il “nuovo” supporto del momento, il Cd-Rom.

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In questo mutato scenario, l’arrivo di The Dig fu accolto con meno entusiasmo del solito, anche se poi, dati alla mano, l’avventura fantascientifica che prendeva spunto da un’idea niente meno che di Steven Spielberg, riuscì a vendere oltre 300mila copie, un dato risibile oggi ma notevole per quei tempi.

The Dig rappresentò una svolta netta rispetto alle classiche avventure Lucas che, in linea di massima, erano state fino ad allora tutte piuttosto divertenti o umoristiche (con la parziale eccezione di Full Throttle). In The Dig invece non si rideva mai, anzi: il tema portante era la mortalità dell’uomo e i compromessi che quest’ultimo avrebbe potuto accettare pur di godere dell’immortalità. Boston Low, il comandante dello Shuttle che si trova catapultato su un pianeta sconosciuto, la giornalista Maggie Robbins ed il geologo Ludger Brink rappresentano alcuni tra i primi personaggi davvero “adulti” nella storia dei videogiochi.

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L’approccio “serio” ebbe ripercussioni anche sul piano ludico, visto che per la prima volta gli utenti, una volta giunti sul pianeta, apparentemente deserto ma caratterizzato dalla massiccia presenza di una tecnologia aliena tanto avanzata quanto incomprensibile, si trovavano di fronte ad enigmi ambientali che ammiccavano spesso ad un altro best seller uscito da qualche tempo, Myst.

La storia della travagliatissima produzione di The Dig, che rischiò più di una volta la cancellazione, è entusiasmante quasi quanto il gioco. In questo senso non posso che consigliarvene la lettura, magari sull’ottimo sito Lucasdelirium, punto di riferimento per tutti gli appassionati della mitica software house.

La critica videoludica accolse The Dig con entusiasmo, anche se, proprio a causa della lunga gestazione, sotto alcuni aspetti, specie quello grafico, il gioco pareva meno catchy di altre produzione dello stesso periodo. Nonostante l’utilizzo di una risoluzione di 320×200 punti in 256 colori, gli artisti della Lucas riuscirono egualmente a confezionare un prodotto eccelso: il pianeta alieno (il vero nome è Cocytus) rappresenta ancora oggi uno degli scenari più onirici, mozzafiato, spettacolari e…”alieni” della storia dei videogiochi.

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Laddove però The Dig si supera, raggiungendo vette ancora oggi inesplorate, è il comparto musicale. Michael Land creò una partitura di accompagnamento indimenticabile, per quale ogni aggettivo è sprecato. L’approccio di Land cancella e oblitera tutto quanto prodotto in ambito video-ludo-musicale negli anni precedenti (e, ora possiamo dirlo, futuri), creando una non-melodia che si adatta ai cambiamenti apportati alla storia dalle azioni dell’utente, che mescola felicemente echi Wagneriani, musica bianca e musica classica. Se avete visto The Tree of Life o Interstellar, ecco, siamo più o meno ai livelli di quella OST.

Ci piacerebbe parlare dell’eredità di The Dig, ma l’avventura Lucas è rimasta un unicum nella storia dei videogiochi: il background sci-fi unito alla riflessioni sulla caducità della vita e sulla fragilità dell’Uomo è stato utilizzato altre volte ma, con forse la sola eccezione dello splendido To The Moon, mai in modo così ficcante ed efficace.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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